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Visualizzazione dei post da dicembre, 2017

Happy End

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Sequel non apertamente dichiarato del precedente Amour ma di fatto questo film ha uno sviluppo narrativo che si incastra alla perfezione e inoltre tratta il medesimo argomento, la vecchiaia: a d un certo punto del racconto il vecchio patriarca Georges confessa di aver favorito la morte della propria consorte . Ora vorrebbe seguire la stessa sorte ma non trova nessuno disposto ad aiutarlo. S econdo moltissimi quest’ultimo lavoro di Haneke non è all’altezza del precedente. Per quanto mi riguarda, visto con i miei occhi terrorizzati dall’argomento, invece questo film è proprio indovinato. Mentre il primo non si può guardare (mi sono sempre rifiutato di vederlo, sapendo di andare incontro a sensazioni sgradevoli) questo me lo sono gustato e senza dormire. A parte gli scherzi, la morte non si può ne esorcizzare ne negare. In questo caso, però, la morte fa da sfondo anche ad un altro argomento che ciclicamente si presenta, la crisi della borghesia come sinonimo di classe dirige

Loveless

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Vorrei partire col citare “Limonov” di Carrere che a sua volta cita Vladimir Putin ma non lo farò, ora. Il film Loveless di Andrej Petrovič Zvjagincev indaga nella, e sulla, Russia contemporanea, la stessa Patria che ha visto trasformarsi sia Limonov che Putin ma soprattutto, e anche, il popolo ( antipatico sostantivo) russo in poco più di vent’anni. Salta subito agli occhi come le cose non siano proprio migliorate, sicuramente cambiate, trasformate, edulcorate, leccate, profumate, abbellite ma non migliorate. Una speranza (illusione di un sogno) per tanti è ora l a brutta copia di un Occidente opulento ma vuoto, de-saturato: una società priva di senso estetico, sempre più omologata e tristemente attratta dagli stessi idoli, patetici e banali, che hanno affascinato anche tutte le nostre masse, poco critiche, inglobate nei nostri territori ai confini del nostro Impero; la forza della globalizzazione, tendenze ed idee “omologate” . « Voglio solo essere felice» ( ne anc

Looking for Oum Kulthum

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Non amo giudicare i film in modo classico, perché non ho i titoli “accademici” necessari ne tanto meno un’esperienza sufficiente. Non mi piace giudicare il lavoro degli altri senza rispettarne gli sforzi, detesto i “critici” dilettanti da blog (e non solo), o quelli che pensano di essere tali solo perché si sono sorbiti una rassegna con dibattito, compatisco coloro che gridano al capolavoro quando ad un festival viene presentato il film di uno di quelli “giusti” oppure quelli che sentenziano sul lavoro di un regista che ha prodotto un’opera discutibile ma che in fondo ha una fotografia straordinaria, che è un concetto paragonabile al falso complimento che si esprime sui bambini brutti: ma che simpatico. Quindi, i film sono tutti da vedere poi ognuno se la sbrighi come crede. Il film della Neshat è da contemplare. Un po’ come quando si rimane affascinati, per non dire estasiati davanti ad un dipinto straordinario, perché in questo film si viene sopraffatti soprattutto dal tocco